I piatti riservati ai lavoratori agricoli
Chi non vuol lavorare neppure mangi. Diceva così Paolo di Tarso, più noto come San Paolo, parlando dei pigri e degli inetti. Oggi anche chi non ha voglia di lavorare e preferisce fare il mantenuto – per fortuna sono solo casi rari - trova spesso un boccone o un piatto caldo che lo attende. Una volta non era così. Non stiamo parlando dell'epoca in cui visse il Santo, ma di un tempo vicino che ci appare però molto distante.
Prendiamo, per esempio, il periodo antecedente i due conflitti mondiali. All'inizio del novecento non era certo l'abbondanza a primeggiare sulle tavole italiane. Piuttosto, il cibo era adeguatamente distribuito sulla base del bisogno energetico di cui la persona necessitava in base agli sforzi della giornata. I lavoratori, spesso braccianti e artigiani, avevano un vero e proprio menu a loro riservato.
Una delle ricette speciali per chi lavorava era il Risott di ubligàa, un piatto che il fittabile offriva ai lavoratori stagionali. Una pietanza sostanziosa e nutriente di cui abbiamo già parlato. Ma come iniziava la giornata di un bracciante? Con uno Zabùrr! Per chi non lo sapesse - è probabile che siano in tanti – si tratta di una colazione piuttosto calorica e, per noi, insolita. Occorreva far ammollare il pane in mezzo litro di latte, aggiungere un cucchiaio di zucchero e mettere sul fuoco. Dopo circa 15 minuti di mescolatura il composto raggiungeva la consistenza di un semolino a cui, appena terminata la cottura, veniva aggiunto lentamente il vino e servito in un piatto fondo. Una ricetta che per i giorni nostri appare alquanto inusuale, ma che in passato costituiva l'energia primaria per mettersi al lavoro.
Finora abbiamo descritto due piatti piuttosto sostanziosi riservati spesso agli uomini di casa. Anche le donne, pensate alle mondine, faticavano parecchio. A volte per fare una pausa dall'estenuante lavoro nelle risaie si concedevano una Marièta fresca. Questa consisteva in una merenda a base di pane, acqua, zucchero, aceto. Il pane veniva messo in una scodella dove veniva aggiunta l'acqua fredda, un cucchiaio di aceto e altrettanto zucchero per poi consumarlo subito.
Arrivava poi il momento del meritato riposo. La sera, nel caldo del casorale, i lavoratori si concedevano una cena leggera ma gustosa. Il piatto più consumato era la Sȕpa d'ora una zuppa a base di pancetta – onnipresente nelle ricette del nostro territorio – cipolla, sale e tre cucchiai di pomodoro. La preparazione, veramente elementare, prevedeva un soffritto a base di cipolla e pancetta a cui si aggiungeva la salsa di pomodoro. Il composto veniva cotto a fuoco lento finché non fosse sufficientemente denso per poter aggiungervi un litro di acqua e un poco di sale che rendevano il piatto una zuppa. Dopo circa 10 minuti di cottura, veniva servito bollente. Al tutto si accompagnavano un paio di fette di pane giallo, un bicchiere di vino e il meritato riposo di chi si era guadagnato il pasto.