Capita spesso di far riferimento alla tradizione culinaria lombarda citando i soliti piatti noti a tutti. Se poi ci si focalizza nella provincia milanese, l'assenza di fantasia, o di memoria, è ancor più evidente. Cassoeula, risotto allo zafferano, cotoletta impanata, ecc. sono pietanze che ormai si possono ritrovare in qualsiasi ristorante della zona. Mai nessuno parla di ciò che veramente cucinavano le bisnonne – le nonne erano ancora bambine all'epoca – e che rientra a pieno titolo nella tradizione più antica del territorio di Milano e provincia. In primis bisogna specificare che ogni ricetta è figlia della necessita, che sia quella di nutrirsi con ingredienti poveri o quella di festeggiare con tutta la comunità attingendo a ingredienti più ricchi e prelibati. Così i contadini che avevano bisogno di energia per il lavoro necessitavano di piatti nutrienti ed economici. Il grande classico era il Risott di ubligàa un piatto composto da riso, lardo (o burro), cipolla, vino rosso, pomodoro, verza, fagioli e cotenna. Non certo una composizione raffinata ma l'energia per il lavoro quotidiano era assicurata.
Altro piatto povero, ma con caratteristiche estremamente diverse, era il Sang de Nimàl (Sangue del Maiale). Non era molto comune perché si cucinava solamente in inverno e in occasione della macellazione del maiale, cosa piuttosto rara nelle comunità meno abbienti. Certo il sangue, oggi usato solo nel sanguinaccio, è un elemento che non stimola molto l'appetito. Un tempo però era apprezzato e cucinato in modo semplice, con burro e cipolla. Si raccoglieva e si aspettava la coagulazione in modo da renderlo solido e ideale per essere lessato in acqua salata. Una volta raffreddato veniva tagliato a fette e soffritto in burro e cipolla.
C'erano poi i piatti delle grandi occasioni, quelli che le persone attendevano per una anno intero. Oggi, nella comodità delle nostre cucine e nei menu dei ristoranti, siamo abituati ad avere ogni ingrediente e ogni pietanza aldilà della stagione e delle tradizioni. L'oca, ad esempio, non era un piatto quotidiano ma un vero e proprio simbolo delle occasioni migliori. Era una prelibatezza – lo è tuttora – che si riservava al Natale o ad altri momenti speciali che cadevano in inverno. Si cucinava con un ricco ripieno di verze, lombo, burro, salsiccia, pancetta, amaretti, noce moscata, alloro e grana grattugiato. Il procedimento di preparazione era molto lungo e laborioso – la sola cottura impegnava la casalinga per quattro o cinque ore – ed era atteso con ansia da tutti gli invitati.
L'Oca a rost cul pien da verz, questo il nome dialettale del piatto appena descritto, era il piatto simbolo delle feste, ma non era l'unico. Il Supon di mort, il Michelacc, la Rustìda, i Pasarin stecàa, ecc sono alcune delle antiche prelibatezze, povere e non, che si riservavano alle grandi occasioni e che vi racconteremo nelle prossime puntate.